Bisogna sapere che il nome “piscio” deriva dal verbo pisciare,
che rispecchia benissimo la maniera con la quale
questo fiume scaturisce dalla roccia dalla quale ha origine.
[…] L’acqua uscendo con impeto, salta rotonda
senza bagnare la rupe dalla quale sgorga.
P. Nallino
“Mannaggia, quest’anno siamo arrivati tardi: quelli del Parco lo hanno già chiuso!”. Così commentava sconsolato un escursionista al Pian delle Gorre, di ritorno da un’infruttuosa visita al sito dove, periodicamente, si materializza per qualche tempo l’affascinante spettacolo della cascata del Pis del Pesio, in altissima Val Pesio - che più alta non si può. Infatti è proprio dal famoso salto d’acqua che nasce il Pesio, torrente che dopo 43 chilometri di dislivello in discesa si getta nel fiume più lungo d’Italia - il Tanaro (no, non è un errore - guarda un Po’ - ma questa è un’altra storia e ne parleremo un’altra volta). In realtà il Pesio è alimentato tutto l’anno da diverse sorgenti perenni nascoste dai detriti, poste alla base delle evidenti pareti rocciose che chiudono la valle.
Non tutti sanno che il Pis del Pesio non è solo un getto d’acqua temporaneo, ma una vera e propria grotta percorribile per quasi 1922 metri di sviluppo e 89 di profondità (+49, -40 m) che si sviluppa all’interno della montagna, con tanto di fiumi, laghi e sifoni (sì, come quelli dei sanitari, solo molto più grossi) sotterranei.
Ma perché solo ogni tanto la grotta si riempie d’acqua? Perché il Pis è la valvola di "troppo pieno" di un vasto sistema carsico sotterraneo che drena le acque della conca delle Carsene e della zona di Navella-Pian Ambrogi, che orograficamente appartiene all’alta Val Roya. Quando in primavera (metà aprile-maggio) alla fusione della neve si associano le piogge stagionali o dopo intense e prolungate precipitazioni, le sorgenti perenni non sono in grado di smaltire l'eccesso di acqua: è in questi frangenti che si attivano anche gallerie che normalmente sono asciutte et voilà - il potente getto del Pis sgorga all’improvviso dalla roccia e precipita rumorosamente per circa 20 metri.
Altra acqua si insinua in fratture secondarie, dando vita a cascate, cascatelle, rivoli e sgocciolamenti assortiti. Una sinfonia d’acqua e roccia, una gioia per gli occhi e un mistero per quanti (esistono!) credono ancora che all’interno della montagna si nasconda un complesso meccanismo di ingranaggi e chiuse attivabile a piacere, probabilmente da un manipolo di gnomi ipogei assunti stagionalmente dalle Aree Protette delle Alpi Marittime.
La portata della risorgiva risente durante il giorno sia delle eventuali precipitazioni sia del soleggiamento e varia in funzione di questi due parametri, raggiungendo il suo massimo nelle prime ore della sera. Nei periodi di magra, la sorgente alla base della parete riversa 60 litri al secondo, mentre nei momenti di piena, quando il Pis è attivo, può raggiungere i 5 metri cubi al secondo.
Anche se l’accesso della grotta non è proprio agevolissimo, abbarbicato com’è in piena parete a circa 20 m dal suolo e 1450 m di quota, il Pis è stata una delle prime cavità esplorate del massiccio del Marguareis (e le altre quali sono? Questa è un’altra storia, e ne parleremo un’altra volta). Un ingresso da funamboli, ma molto evidente - tanto è bastato perché attirasse l’attenzione di studiosi e sfaccendati fin dal 1700. Le prime osservazioni scientifiche, peraltro sostanzialmente corrette, le compie Pietro Nallino (1722-1796), sacerdote e maestro originario di Villanova di Mondovì, che ne Il corso del fiume Pesio scrive: “L'acqua non già di viva vena, che dagli accennati buchi esce con furia nel mezzo del monte, che traversando in capo della valle, la serra, e chiude, è l'origine del Fiume Pesio.
Sopra di quella rocca v'è un vallone alla falda di un altro assai più alto monte, il quale vallone attorniato da monti, e da rocche forma un assai ampio recipiente, nel quale fermate le acque delle piogge, e delle sciolte nevi, non potendo per veruna parte trovare l’uscita, per quanto alte rigorghino, di continuo feltrano (*filtrano, n.d.a.) per l’interno del monte, e trovando certi meati (*meandri n.d.a.) e piccoli canali scorrono per li medesimi, e nell’uscire saltano con sì bella maniera”.